(Dall’introduzione “Encausto il volto infinito”. Museo
Archeologico di Anzio 2017)
Sono molto lieta e onorata di essere stata chiamata a
presentare la mostra ‘Encausto, volto infinito’ che espone i dipinti a encausto
di Paolo Fundarò. Le opere di Paolo ci avvicinano a una tecnica pittorica
antica e ai manufatti artistici che tale procedimento ha prodotto, non solo
attraverso le conoscenze storiche, culturali e metodologiche relative
all’encausto, ma anche e soprattutto attraverso le sensazioni che la visione
dei suoi quadri ci trasmette.
Con il termine encausto si intende una tecnica pittorica
nella quale la cera d’api, o un suo derivato dalla saponificazione - la cosiddetta cera punica - viene intimamente
mescolata al colore.
Il prodotto viene mantenuto liquido attraverso il
riscaldamento su un fuoco medio-basso, steso sul supporto con diversi strumenti tra i quali il pennello o
la spatola e lavorato a caldo.
Quindi la tecnica si differenzia molto dalla pittura ad
affresco, della quale abbiamo mirabili esempi qui al Museo provenienti dalla
villa imperiale di Anzio. Lungo il percorso della mostra, impareremo a
conoscere la pittura a encausto dal punto di vista di un pittore che si è
trovato a lavorare, sperimentare e giocare con le tecniche e i materiali citati
dalle fonti, cercando di ricreare, con un taglio nuovo e moderno, non tanto le
copie dei ritratti del Fayum, quanto lo
spirito e la volontà di rappresentazione che traspare ancora oggi da questi
antichi dipinti. E, come giustamente osservato del Prof. Prag dell’Università e
Museo di Manchester le realizzazioni di Paolo “non solo invitano a
riconsiderare e ad apprezzare quelle antiche pitture ma allo stesso tempo ci
mostrano in modo affascinante i risultati che con la tecnica a encausto si
possono raggiungere”.
Dott.ssa Francesca Colosi ITBC CNR (istituto per le tecnologie applicate ai beni culturali del CNR - Roma)
Introduzione al Sogno di Enea
Sono molto lieta di essere stata chiamata a presentare la
mostra iconografica di Paolo Fundarò "Il sogno di Enea. Il mito
dipinto" e per questo ringrazio Paolo, che ha pensato a me, e Gloria
Galante, direttrice del Museo Civico Archeologico di Lavinio che ha supportato
l'iniziativa.
Ritengo che questa esposizione si inserisca a pieno titolo
nelle attività del Museo civico di Lavinium, un Museo fortemente legato alla
figura di Enea, il mitico fondatore di cui vengono presentate, anche con
moderni strumenti multimediali, le tappe del lungo viaggio che lo ha condotto
in Italia. Il Museo ha aperto nel 2005 proprio con una mostra dedicata all'eroe
e nel corso degli anni ha sempre seguito il filo conduttore della
musealizzazione del mito di Enea. Lungo le sale espositive, si percepisce
l'alone leggendario e il forte senso di religiosità che circondava l'antico
centro laziale, città sacra dei Latini, e i grandi santuari di Minerva e dei
XIII altari. Quest'ultimo santuario, come abbiamo visto, era proprio connesso
con il culto di Enea e rappresentava uno dei luoghi sacri più importanti del
Lazio in età arcaica.
Inoltre, Il Museo di Lavinium, attraverso un allestimento
decisamente innovativo e l'organizzazione di mostre, conferenze, laboratori
didattici, raggiunge l'obiettivo non solo di trasferire conoscenze
storico-archeologiche, ma anche di trasmettere ai visitatori l'amore per le
proprie origini e il proprio territorio attraverso l'esperienza diretta e un
approccio emozionale ai reperti e alla storia dei luoghi.
L'esposizione dei dipinti di Paolo Fundarò è dunque
pertinente alle finalità del Museo, soprattutto perchè i ritratti esposti
richiamano la storia e l'epica attraverso il contatto emotivo con il dipinto
rendendo attuale ed appassionante una delle più interessanti tecniche
pittoriche dell'antichità.
Con la visita della mostra, quindi, compiremo un viaggio nel
mondo della pittura antica e del ritratto, un viaggio che ci porterà nei
lontani mondi del mito, ma che ci manterrà anche incredibilmente vicini alla
realtà di questo territorio, dato lo stretto legame che lega Enea, e più in
generale gli eroi omerici, a Lavinium.
Paolo dipinge ad encausto. Con questo termine si intende una
tecnica pittorica nella quale la cera d’api, o un suo derivato dalla saponificazione
- la cosiddetta cera punica - viene
intimamente mescolata al colore. Il prodotto viene mantenuto liquido attraverso
il riscaldamento su un fuoco medio-basso, steso sul supporto con il pennello o
la spatola e lavorato a caldo per mezzo di strumenti di metallo chiamati
cauteri.
Secondo Plinio la pittura a encausto nacque nella Grecia del
V sec. a.C, ma l’insieme di dipinti più numerosi (più di 700 sparsi in tutto il
mondo) sui quali la tecnica a encausto fu ampiamente utilizzata proviene
dall’Egitto romano. Sono le pitture El-Fayum, ritratti su tavola che venivano
posti sul viso delle mummie e che rappresentavano in modo più o meno realistico
le fattezze del defunto. Queste pitture,
che fondono i principi della ritrattistica greco-romana con la tradizione
funeraria egizia, sono stati ritrovati lungo tutta la valle del Nilo. Si tratta
di un rinvenimento eccezionale dato che la pittura greco-ellenistica è
conosciuta essenzialmente dalla descrizione delle fonti scritte e da
riproduzioni su ceramica e mosaico e che la pittura romana si identifica
essenzialmente con l’affresco, una tecnica strettamente legata alle complesse
architetture delle grandi dimore patrizie e rappresentativa, per lo più, di un
ottimo artigianato. La pittura su tavola e su tela, invece, non è quasi mai
conservata, sebbene dovesse essere molto diffusa nel mondo greco e romano e in
alcuni casi potesse raggiungere un alto livello artistico.
Sembra che i ritratti del Fayum venissero eseguiti mentre la
persona era ancora in vita, normalmente in età abbastanza giovane, a volte
sulla base di modelli standardizzati. Eppure la forza e l’intensità dei volti
del Fayum non viene quasi mai meno proprio perché la misteriosa potenza del
loro sguardo, eterno e vivo, deriva non solo dalla maestria di chi li ha
dipinti, ma anche dalla materia adoperata: la cera.
Paolo ha iniziato il suo percorso artistico e di ricerca
riproducendo, in modo moderno e personale, i ritratti del Fayum, cercando di
ricreare con un taglio attuale lo spirito e la volontà di rappresentazione che
traspare ancora oggi da questi antichi dipinti. Si è in seguito
progressivamente distanziato da tali modelli avviando una produzione
assolutamente originale che, mantenendo un contatto con la storia e soprattutto
con il mito, si è orientata allo studio e alla raffigurazione di personalità
epiche, come i ritratti esposti oggi in questa sede: Enea e i suoi compagni di
avventure descritti nell'Iliade.
Lungo il percorso della mostra, quindi, impareremo a
conoscere la pittura a encausto dal punto di vista di un pittore che si è
trovato a lavorare, sperimentare e giocare con le tecniche e i materiali citati
dalle fonti, facendo propria una procedura che attraverso la duttilità della
cera permette di rendere plastico, materico e quasi scultoreo il dipinto (dato
che rimanda alla pratica del modellato e a una possibile nascita della tecnica
a encausto nelle botteghe dei bronzisti greci del VI a.C.) ma consente anche di
mettere in pratica, utilizzando questo materiale, le principali conquiste dell’arte
greca nella pittura su cavalletto - molto ben descritte da Plinio il Vecchio
nella Naturalis Historia - come le velature, i passaggi cromatici o la resa di
luci e di ombre.
Ma c’è di più. Il tentativo di Paolo di avvicinarsi al mondo
greco va al di là della sperimentazione delle tecniche antiche, ma risiede
nella sua visione dell’arte come manifestazione dell’ethos, come espressione
dell’animo umano e delle sue tensioni psicologiche e drammatiche. In Grecia a
partire dal V sec. a.C., quando l’uomo è il centro e la misura di tutte le
cose, la finalità dell’arte diventa quella di rappresentarne gli stati d’animo
e di comunicare la tensione etica che caratterizza sia i grandi eventi storici
sia la delicata intimità dei sentimenti.
In questo senso se il volto è una piena manifestazione
dell’essere, il ritratto diventa un’espressione artistica di carattere etico,
la rappresentazione di un’essenza vitale. Nel ritratto si è di fronte alla
rivelazione di una vita interiore ricreata in superficie da forma e colore. Ed
è proprio questa sensazione che ci trasmettono i dipinti di Paolo attraverso la
tensione del loro sguardo. Uno sguardo reso particolarmente brillante e intenso
sfruttando la lucentezza della cera mescolata con piccoli frammenti di vetro.
Enea e i suoi sogni sono protagonisti di questa esposizione.
Egli, come sappiamo, è il Principe dei Dàrdani, partecipò alla guerra di Troia
dalla parte di Priamo e dei Troiani, durante la quale si distinse molto presto
in battaglia (era secondo solo ad Ettore per le sue capacità di combattente).
E' quindi un eroe omerico, anche se all'interno dell'Iliade assume un ruolo
secondario. Quindi l'esposizione nelle prime sale del Museo dei grandi
personaggi epici dell'Iliade, compagni e avversari di tante battaglie ed avventure
( Achille, Ettore, Agamennone, Menelao, Elena, Iride), ci accompagna verso
l'incontro con l'eroe e ci aiuta a conoscere l'origine del mito che lo avvolge.
E' proprio durante la guerra di Troia e soprattutto al momento della sua
distruzione che si delinea il destino di Enea. Un destino annunciato in sogno
da Ettore e dalla cara moglie Creusa apparsa come una visione.
I grandi eroi dell’Iliade, imprigionati da un fato
immutabile che li sovrasta, sono simboli della tragicità e della finitezza
dell’uomo. Non vi è per gli eroi omerici nessuna salvezza, nessuna possibilità
di superare il limite che gli è stato imposto. “La forza trasforma chiunque da
essa venga toccato”. Questa era per Simone Weil l’essenza dell’Iliade. Una
forza che porta alla rovina chi la esercita e che pietrifica chi la subisce. I
Greci e i Troiani dell’Iliade sono condannati alla guerra, sono al contempo
vittime e carnefici, assoggettati e vincitori, mentre la violenza e la
sopraffazione vengono bilanciati dalla pietà e dall’amore. Vi sono infatti nel
poema quasi tutte le forme pure dell’amore tra gli uomini: l’amicizia, l’amore
filiale, l’amore paterno, l’amore di coppia all’interno della famiglia, l’amore
per la propria terra. Ma questi profondi sentimenti intervengono soltanto quando
tutto ciò che doveva essere distrutto è stato distrutto e non resta altro che
il rimpianto per ciò che si è perduto. La fraternità, la tenerezza, l’amarezza,
entrano in scena nel momento in cui si perdono di vista le ragioni per cui si è combattuto e si
comprende, finalmente, di essere stati inchiodati dal proprio destino.
Il ritratto a encausto di Enea
è il fulcro dell'esposizione ed è stato infatti collocato nella sala dedicata
all'eroe. Conosciamo il personaggio Enea soprattutto attraverso l'opera di
Virgilio. Spesso Enea è stato descritto come un eroe moderno, più umano e
sensibile dei grandi protagonisti omerici. Enea ha visto la sua città distrutta
dalle fiamme, ha assistito alla morte dell'amata moglie e in seguito del padre
Anchise, ha vissuto un grande amore al quale ha dovuto rinunciare. E ci ha
rinunciato in maniera molto umana, ricorrendo a sotterfugi per allontanarsi
dall'amata, venendogli meno il coraggio di un confronto o uno scontro.
Enea col suo carico di virtus, pietà, saggezza, fuggiasco ed
esploratore di nuove terre e di se stesso, ma al contempo dominato da un fato
ineluttabile al quale si attiene con perseveranza - anche perchè non gli
sarebbe concessa nessun altra scelta - Enea che compatisce, che sbaglia, che
mente, che si fa sopraffarre dall'ira, ma che non perde mai di vista il proprio
destino, si presenta davanti ai nostri occhi attraverso il ritratto a encausto
di Paolo Fundarò, che ne esprime tutta la determinazione e la fatica di vivere,
tutta la sua grandezza mitica e la sua intima umanità.
Un’umanità che traspare da tutti i dipinti di Paolo che
hanno il potere di riportare in vita i personaggi, la loro essenza e il loro
tormento attraverso una sguardo umido e luminoso che ci rivela il loro intimo
dramma, che ci commuove e che ci cattura.
Il sogno, filo conduttore della mostra, è presente lungo
tutto il percorso espositivo, nel quale i personaggi sono immersi in
un'atmosfera onirica, compaiono davanti ai nostri occhi come delle apparizioni
così come dovevano popolare i sogni di Enea e come, forse, si sono manifestati
davanti a Paolo che, riprendendo una tecnica pittorica intimamente legata al
mondo greco, li ha dipinti.
Dott.ssa Francesca Colosi ITBC CNR
“Arcani Volti” evento cultura “Il mito nell’arte”
La mostra “Arcani Volti” di Paolo Fundarò inaugurata ad Ariccia presso la Locanda Martorelli-Museo del Grand Tour, espone delle originalissime tavole realizzate con l’antica tecnica dell’encausto che prevedeva l’uso di cera d’api mescolata con pigmenti e stesa sul supporto pittorico, che può essere considerata un precursore della moderna tecnica a olio.
L’evento culturale, nato dalla collaborazione dell’artista
con l’Archeoclub Aricino Nemorense APS e il Comune di Ariccia, inaugura il ciclo
di eventi dedicati a “Il mito nell’arte”, ed ha lo scopo di far conoscere
l’opera pittorica di Paolo Fundarò ed esporre opere d’arte di pregio all’interno
del settecentesco Casino Stazi divenuto poi nell’800 la celebre Locanda
Martorelli. Nella struttura, che conserva nella sala centrale un pregevole
ciclo pittorico settecentesco, hanno soggiornato, dipinto ed esposto i loro
lavori numerosi artisti tra cui Turner e Corot e fonte di ispirazione per letterati
e drammaturghi italiani ed europei.
L’artista Paolo Fundarò, esperto di tecniche pittoriche del
mondo antico, si è formato in mosaico, mosaico minuto romano (micromosaico),
affresco, tempera all’uovo e doratura. I suoi studi e ricerche sull’encausto
dei ritratti di mummie del Fayyum sono confluiti nel 2012 nel saggio catalogo:
“lo sguardo eterno. Storia e tecnica dell’encausto dalle origini ai ritratti
del Fayyum”. Edizione bilingue.
Nel contesto espositivo “Arcani volti” si svolge la rilettura
di un mondo perduto e rarefatto, rievocato attraverso i volti del mito; in cui è
lo sguardo stesso che tende a costituire l’atmosfera e l’evento del ritratto
nell’idea di far risuonare la dimensione più intima in una realtà
sovrasensibile. In occasione dell’inaugurazione della mostra.
Maria Cristina Vincenti
Introduzione al “Il Mito dipinto. Volti dell’Iliade”
Avrò perduto per sempre la possibilità di ritorno ma avrò guadagnato la fama inmortale. Iliade, IX, 413.
Los retratos conocidos como de El Fayum mostraron un evidente sincretismo religioso entre la tradición egipcia de la momificación y el mundo clásico del retrato como perpetuación de la memoria. Igualmente clásica había sido la técnica del incausto que en Egipto se modificaría y consolidaría. En esta muestra hay también un evidente sincretismo artístico-cultural, ya que se recurre al modo pictórico del Fayum y su inquietante naturalismo para recrear el mito épico y hacer sonar su eco de forma perdurable. Y es precisamente esa forma la que transmiten los retratos de esta muestra. En la literatura elegíaca del primer Renacimiento se difundió la idea de la existencia de tres vidas. La primera era la vida terrenal, que termina con la muerte. La segunda, la vida eterna después de la muerte. Y la tercera, aquella que el poeta español Manrique llamaría “perdurable” y que recogía la idea de la kleos griega, la gloria de los héroes. La kleos fue un tema recurrente en los grandes poemas épicos -como la Iliade- y en ella confluyen la inmortalidad poética y la gloria épica. El héroe griego la podía conseguir con la consecución de gestas gloriosas o incluso a través de su propria muerte, puesto que la inmortalidad requería de la muerte física. La vida de la fama conducida por el recuerdo es aquello que igualmente perseguirían las laudatio funebris en la antigua Roma. Estos retratos son la culminación plástica de la vida de la memoriae, de la perpetuación de mito cuyo significado básico no tiene perspectiva espacial sino puramente temporal. El tiempo del mito es circular, es consciencia de intemporalidad. Un tiempo, el cual, sea cual fuere la duración que se le atribuya es siempre idéntico, una especie de eternidad.
“...y aunque la vida perdió, nos dejó harto consuelo su memoria”.
Jorge Manrique. Copla XXXV.
Beatriz Tejero
Introduzione al “Il Mito dipinto. Volti dell’Iliade”
“I ritratti noti come il repertorio del “Fayyum” mostrano un evidente sincretismo religioso tra la tradizione egizia della mummificazione e il mondo classico del ritratto come perenne trasmissione della memoria. Altrettanto classica era stata la tecnica dell'encausto, modificata e lungamente consolidata in Egitto. In questa mostra è evidente anche un sincretismo artistico-culturale, in quanto la modalità pittorica proveniente dal Fayyum e il suo inquietante naturalismo sono utilizzati per ricreare il mito epico e farne risuonare l'eco in modo duraturo. Proprio a questo aspetto ci indirizzano i ritratti della mostra.
Nella letteratura elegiaca del primo Rinascimento era diffusa l'idea dell'esistenza di tre vite. La prima era la vita terrena, che termina con la morte. La seconda era la vita eterna dopo la morte. E la terza, quella che il poeta spagnolo Manrique avrebbe definito "persistente" e che riprendeva l'idea del kléos greco, la gloria degli eroi.
Il kléos era un tema ricorrente nei grandi poemi epici -come l'Iliade- e in esso convergono immortalità poetica e gloria epica. L'eroe greco poteva ottenerlo con il compimento di gesta gloriose o anche attraverso la propria morte, poiché l'immortalità richiedeva la morte fisica. La durata della fama sostenuta dal ricordo era anche lo scopo della laudatio funebris nell'antica Roma. Questi ritratti sono il culmine plastico della vita di “memoriae”, della trasmissione del mito il cui significato fondamentale non ha una prospettiva spaziale ma puramente temporale. Il tempo del mito è circolare; è coscienza dell'atemporalità.
Un tempo che, qualunque sia la durata che gli viene attribuita, è sempre identico; un’ espressione di eternità”.
Beatriz Tejero storica dell’arte