Testi cataloghi/mostre


L'encausto di Paolo Fundarò a Creta - 19 luglio 2023













. History and Technique of Encaustic From Its Origins To the Fayum Portrait (2012)

Foreword

There have been many accounts of the ancient practice of encaustic painting, but nearly all have
been written by archaeologists or art-historians. There have been numerous exhibitions of the
Egyptian mummy portraits of the Roman period from the Fayum and elsewhere – one thinks
particularly of that organised by the British Museum in 1997. There have been conferences about
the subject and at the symposium
held in Heraklion in 1998 there was much discussion of the concept of
‘Fayumismos’: what made these portraits special, and how they related to and influenced
(or perhaps did not influence) the later Byzantine icon painters.
Paolo Fundarò’s approach to this intriguing subject is different, because he comes
at it as a painter, not as an archaeologist or a historian, and because he comes at
it as a painter fascinated by the techniques and the materials involved. His introduction
thus makes interesting reading, because he tackles the ancient authors
not as a literary historian or a textual critic but as someone who has actually tried
to put their accounts into practice. As a result his interpretations are not always
those that one has come to expect, and one may not always agree with them, but
he makes one look afresh at those accounts: that can only be a good thing.
And of course he backs it all up with his own paintings, executed in the encaustic
technique and in others which he believes throw light on the way in which the ancient
artists worked. Some are ‘copies’ of familiar ancient portraits, undertaken
to explore and to demonstrate the technique; others are totally – and excitingly –
new. No-one would confuse Paolo Fundarò’s paintings with the portraits from the
Fayum to which they are the heirs, for they are – naturally – painted in the spirit
of another age: nonetheless they should make us reconsider those ancient paintings,
and at the same time look with fascination at where this long-neglected technique
may lead.
Is this twenty-first-century Fayumismos?


A.J.N.W. Prag,
Hon. Professor in the Manchester Museum and Professor Emeritus of Classics, The Manchester
Museum, University of Manchester.

(Dall’introduzione “Encausto il volto infinito”. Museo Archeologico di Anzio 2017)

Sono molto lieta e onorata di essere stata chiamata a presentare la mostra ‘Encausto, volto infinito’ che espone i dipinti a encausto di Paolo Fundarò. Le opere di Paolo ci avvicinano a una tecnica pittorica antica e ai manufatti artistici che tale procedimento ha prodotto, non solo attraverso le conoscenze storiche, culturali e metodologiche relative all’encausto, ma anche e soprattutto attraverso le sensazioni che la visione dei suoi quadri ci trasmette.

Con il termine encausto si intende una tecnica pittorica nella quale la cera d’api, o un suo derivato dalla saponificazione -  la cosiddetta cera punica - viene intimamente mescolata al colore.

Il prodotto viene mantenuto liquido attraverso il riscaldamento su un fuoco medio-basso, steso sul supporto con  diversi strumenti tra i quali il pennello o la spatola e  lavorato a caldo.

Quindi la tecnica si differenzia molto dalla pittura ad affresco, della quale abbiamo mirabili esempi qui al Museo provenienti dalla villa imperiale di Anzio. Lungo il percorso della mostra, impareremo a conoscere la pittura a encausto dal punto di vista di un pittore che si è trovato a lavorare, sperimentare e giocare con le tecniche e i materiali citati dalle fonti, cercando di ricreare, con un taglio nuovo e moderno, non tanto le copie dei  ritratti del Fayum, quanto lo spirito e la volontà di rappresentazione che traspare ancora oggi da questi antichi dipinti. E, come giustamente osservato del Prof. Prag dell’Università e Museo di Manchester le realizzazioni di Paolo “non solo invitano a riconsiderare e ad apprezzare quelle antiche pitture ma allo stesso tempo ci mostrano in modo affascinante i risultati che con la tecnica a encausto si possono raggiungere”.

Dott.ssa Francesca Colosi ITBC CNR (istituto per le tecnologie applicate ai beni culturali del CNR - Roma)


Introduzione al Sogno di Enea

 

Sono molto lieta di essere stata chiamata a presentare la mostra iconografica di Paolo Fundarò "Il sogno di Enea. Il mito dipinto" e per questo ringrazio Paolo, che ha pensato a me, e Gloria Galante, direttrice del Museo Civico Archeologico di Lavinio che ha supportato l'iniziativa.

Ritengo che questa esposizione si inserisca a pieno titolo nelle attività del Museo civico di Lavinium, un Museo fortemente legato alla figura di Enea, il mitico fondatore di cui vengono presentate, anche con moderni strumenti multimediali, le tappe del lungo viaggio che lo ha condotto in Italia. Il Museo ha aperto nel 2005 proprio con una mostra dedicata all'eroe e nel corso degli anni ha sempre seguito il filo conduttore della musealizzazione del mito di Enea. Lungo le sale espositive, si percepisce l'alone leggendario e il forte senso di religiosità che circondava l'antico centro laziale, città sacra dei Latini, e i grandi santuari di Minerva e dei XIII altari. Quest'ultimo santuario, come abbiamo visto, era proprio connesso con il culto di Enea e rappresentava uno dei luoghi sacri più importanti del Lazio in età arcaica.

Inoltre, Il Museo di Lavinium, attraverso un allestimento decisamente innovativo e l'organizzazione di mostre, conferenze, laboratori didattici, raggiunge l'obiettivo non solo di trasferire conoscenze storico-archeologiche, ma anche di trasmettere ai visitatori l'amore per le proprie origini e il proprio territorio attraverso l'esperienza diretta e un approccio emozionale ai reperti e alla storia dei luoghi.

L'esposizione dei dipinti di Paolo Fundarò è dunque pertinente alle finalità del Museo, soprattutto perchè i ritratti esposti richiamano la storia e l'epica attraverso il contatto emotivo con il dipinto rendendo attuale ed appassionante una delle più interessanti tecniche pittoriche dell'antichità.

Con la visita della mostra, quindi, compiremo un viaggio nel mondo della pittura antica e del ritratto, un viaggio che ci porterà nei lontani mondi del mito, ma che ci manterrà anche incredibilmente vicini alla realtà di questo territorio, dato lo stretto legame che lega Enea, e più in generale gli eroi omerici, a Lavinium.

Paolo dipinge ad encausto. Con questo termine si intende una tecnica pittorica nella quale la cera d’api, o un suo derivato dalla saponificazione -  la cosiddetta cera punica - viene intimamente mescolata al colore. Il prodotto viene mantenuto liquido attraverso il riscaldamento su un fuoco medio-basso, steso sul supporto con il pennello o la spatola e lavorato a caldo per mezzo di strumenti di metallo chiamati cauteri.

Secondo Plinio la pittura a encausto nacque nella Grecia del V sec. a.C, ma l’insieme di dipinti più numerosi (più di 700 sparsi in tutto il mondo) sui quali la tecnica a encausto fu ampiamente utilizzata proviene dall’Egitto romano. Sono le pitture El-Fayum, ritratti su tavola che venivano posti sul viso delle mummie e che rappresentavano in modo più o meno realistico le fattezze del defunto. Queste  pitture, che fondono i principi della ritrattistica greco-romana con la tradizione funeraria egizia, sono stati ritrovati lungo tutta la valle del Nilo. Si tratta di un rinvenimento eccezionale dato che la pittura greco-ellenistica è conosciuta essenzialmente dalla descrizione delle fonti scritte e da riproduzioni su ceramica e mosaico e che la pittura romana si identifica essenzialmente con l’affresco, una tecnica strettamente legata alle complesse architetture delle grandi dimore patrizie e rappresentativa, per lo più, di un ottimo artigianato. La pittura su tavola e su tela, invece, non è quasi mai conservata, sebbene dovesse essere molto diffusa nel mondo greco e romano e in alcuni casi potesse raggiungere un alto livello artistico. 

Sembra che i ritratti del Fayum venissero eseguiti mentre la persona era ancora in vita, normalmente in età abbastanza giovane, a volte sulla base di modelli standardizzati. Eppure la forza e l’intensità dei volti del Fayum non viene quasi mai meno proprio perché la misteriosa potenza del loro sguardo, eterno e vivo, deriva non solo dalla maestria di chi li ha dipinti, ma anche dalla materia adoperata: la cera.

Paolo ha iniziato il suo percorso artistico e di ricerca riproducendo, in modo moderno e personale, i ritratti del Fayum, cercando di ricreare con un taglio attuale lo spirito e la volontà di rappresentazione che traspare ancora oggi da questi antichi dipinti. Si è in seguito progressivamente distanziato da tali modelli avviando una produzione assolutamente originale che, mantenendo un contatto con la storia e soprattutto con il mito, si è orientata allo studio e alla raffigurazione di personalità epiche, come i ritratti esposti oggi in questa sede: Enea e i suoi compagni di avventure descritti nell'Iliade.

Lungo il percorso della mostra, quindi, impareremo a conoscere la pittura a encausto dal punto di vista di un pittore che si è trovato a lavorare, sperimentare e giocare con le tecniche e i materiali citati dalle fonti, facendo propria una procedura che attraverso la duttilità della cera permette di rendere plastico, materico e quasi scultoreo il dipinto (dato che rimanda alla pratica del modellato e a una possibile nascita della tecnica a encausto nelle botteghe dei bronzisti greci del VI a.C.) ma consente anche di mettere in pratica, utilizzando questo materiale, le principali conquiste dell’arte greca nella pittura su cavalletto - molto ben descritte da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia - come le velature, i passaggi cromatici o la resa di luci e di ombre.

Ma c’è di più. Il tentativo di Paolo di avvicinarsi al mondo greco va al di là della sperimentazione delle tecniche antiche, ma risiede nella sua visione dell’arte come manifestazione dell’ethos, come espressione dell’animo umano e delle sue tensioni psicologiche e drammatiche. In Grecia a partire dal V sec. a.C., quando l’uomo è il centro e la misura di tutte le cose, la finalità dell’arte diventa quella di rappresentarne gli stati d’animo e di comunicare la tensione etica che caratterizza sia i grandi eventi storici sia la delicata intimità dei sentimenti.

In questo senso se il volto è una piena manifestazione dell’essere, il ritratto diventa un’espressione artistica di carattere etico, la rappresentazione di un’essenza vitale. Nel ritratto si è di fronte alla rivelazione di una vita interiore ricreata in superficie da forma e colore. Ed è proprio questa sensazione che ci trasmettono i dipinti di Paolo attraverso la tensione del loro sguardo. Uno sguardo reso particolarmente brillante e intenso sfruttando la lucentezza della cera mescolata con piccoli frammenti di vetro.

Enea e i suoi sogni sono protagonisti di questa esposizione. Egli, come sappiamo, è il Principe dei Dàrdani, partecipò alla guerra di Troia dalla parte di Priamo e dei Troiani, durante la quale si distinse molto presto in battaglia (era secondo solo ad Ettore per le sue capacità di combattente). E' quindi un eroe omerico, anche se all'interno dell'Iliade assume un ruolo secondario. Quindi l'esposizione nelle prime sale del Museo dei grandi personaggi epici dell'Iliade, compagni e avversari di tante battaglie ed avventure ( Achille, Ettore, Agamennone, Menelao, Elena, Iride), ci accompagna verso l'incontro con l'eroe e ci aiuta a conoscere l'origine del mito che lo avvolge. E' proprio durante la guerra di Troia e soprattutto al momento della sua distruzione che si delinea il destino di Enea. Un destino annunciato in sogno da Ettore e dalla cara moglie Creusa apparsa come una visione.

I grandi eroi dell’Iliade, imprigionati da un fato immutabile che li sovrasta, sono simboli della tragicità e della finitezza dell’uomo. Non vi è per gli eroi omerici nessuna salvezza, nessuna possibilità di superare il limite che gli è stato imposto. “La forza trasforma chiunque da essa venga toccato”. Questa era per Simone Weil l’essenza dell’Iliade. Una forza che porta alla rovina chi la esercita e che pietrifica chi la subisce. I Greci e i Troiani dell’Iliade sono condannati alla guerra, sono al contempo vittime e carnefici, assoggettati e vincitori, mentre la violenza e la sopraffazione vengono bilanciati dalla pietà e dall’amore. Vi sono infatti nel poema quasi tutte le forme pure dell’amore tra gli uomini: l’amicizia, l’amore filiale, l’amore paterno, l’amore di coppia all’interno della famiglia, l’amore per la propria terra. Ma questi profondi sentimenti intervengono soltanto quando tutto ciò che doveva essere distrutto è stato distrutto e non resta altro che il rimpianto per ciò che si è perduto. La fraternità, la tenerezza, l’amarezza, entrano in scena nel momento in cui si perdono di vista  le ragioni per cui si è combattuto e si comprende, finalmente, di essere stati inchiodati dal proprio destino.          

Il ritratto a encausto di Enea è il fulcro dell'esposizione ed è stato infatti collocato nella sala dedicata all'eroe. Conosciamo il personaggio Enea soprattutto attraverso l'opera di Virgilio. Spesso Enea è stato descritto come un eroe moderno, più umano e sensibile dei grandi protagonisti omerici. Enea ha visto la sua città distrutta dalle fiamme, ha assistito alla morte dell'amata moglie e in seguito del padre Anchise, ha vissuto un grande amore al quale ha dovuto rinunciare. E ci ha rinunciato in maniera molto umana, ricorrendo a sotterfugi per allontanarsi dall'amata, venendogli meno il coraggio di un confronto o uno scontro.

Enea col suo carico di virtus, pietà, saggezza, fuggiasco ed esploratore di nuove terre e di se stesso, ma al contempo dominato da un fato ineluttabile al quale si attiene con perseveranza - anche perchè non gli sarebbe concessa nessun altra scelta - Enea che compatisce, che sbaglia, che mente, che si fa sopraffarre dall'ira, ma che non perde mai di vista il proprio destino, si presenta davanti ai nostri occhi attraverso il ritratto a encausto di Paolo Fundarò, che ne esprime tutta la determinazione e la fatica di vivere, tutta la sua grandezza mitica e la sua intima umanità.

Un’umanità che traspare da tutti i dipinti di Paolo che hanno il potere di riportare in vita i personaggi, la loro essenza e il loro tormento attraverso una sguardo umido e luminoso che ci rivela il loro intimo dramma, che ci commuove e che ci cattura.

Il sogno, filo conduttore della mostra, è presente lungo tutto il percorso espositivo, nel quale i personaggi sono immersi in un'atmosfera onirica, compaiono davanti ai nostri occhi come delle apparizioni così come dovevano popolare i sogni di Enea e come, forse, si sono manifestati davanti a Paolo che, riprendendo una tecnica pittorica intimamente legata al mondo greco, li ha dipinti.

 Dott.ssa Francesca Colosi ITBC CNR


“Arcani Volti” evento cultura “Il mito nell’arte”

 La mostra “Arcani Volti” di Paolo Fundarò inaugurata ad Ariccia presso la Locanda Martorelli-Museo del Grand Tour, espone delle originalissime tavole realizzate con l’antica tecnica dell’encausto che prevedeva l’uso di cera d’api mescolata con pigmenti e stesa sul supporto pittorico, che può essere considerata un precursore della moderna tecnica a olio.

L’evento culturale, nato dalla collaborazione dell’artista con l’Archeoclub Aricino Nemorense APS e il Comune di Ariccia, inaugura il ciclo di eventi dedicati a “Il mito nell’arte”, ed ha lo scopo di far conoscere l’opera pittorica di Paolo Fundarò ed esporre opere d’arte di pregio all’interno del settecentesco Casino Stazi divenuto poi nell’800 la celebre Locanda Martorelli. Nella struttura, che conserva nella sala centrale un pregevole ciclo pittorico settecentesco, hanno soggiornato, dipinto ed esposto i loro lavori numerosi artisti tra cui Turner e Corot e fonte di ispirazione per letterati e drammaturghi italiani ed europei.

L’artista Paolo Fundarò, esperto di tecniche pittoriche del mondo antico, si è formato in mosaico, mosaico minuto romano (micromosaico), affresco, tempera all’uovo e doratura. I suoi studi e ricerche sull’encausto dei ritratti di mummie del Fayyum sono confluiti nel 2012 nel saggio catalogo: “lo sguardo eterno. Storia e tecnica dell’encausto dalle origini ai ritratti del Fayyum”. Edizione bilingue.

Nel contesto espositivo “Arcani volti” si svolge la rilettura di un mondo perduto e rarefatto, rievocato attraverso i volti del mito; in cui è lo sguardo stesso che tende a costituire l’atmosfera e l’evento del ritratto nell’idea di far risuonare la dimensione più intima in una realtà sovrasensibile. In occasione dell’inaugurazione della mostra.

Maria Cristina Vincenti 



Introduzione al “Il Mito dipinto. Volti dell’Iliade”


Avrò perduto per sempre la possibilità di ritorno ma avrò guadagnato la fama inmortale. Iliade, IX, 413.


Los retratos conocidos como de El Fayum mostraron un evidente sincretismo religioso entre la tradición egipcia de la momificación y el mundo clásico del retrato como perpetuación de la memoria. Igualmente clásica había sido la técnica del incausto que en Egipto se modificaría y consolidaría. En esta muestra hay también un evidente sincretismo artístico-cultural, ya que se recurre al modo pictórico del Fayum y su inquietante naturalismo para recrear el mito épico y hacer sonar su eco de forma perdurable. Y es precisamente esa forma la que transmiten los retratos de esta muestra. En la literatura elegíaca del primer Renacimiento se difundió la idea de la existencia de tres vidas. La primera era la vida terrenal, que termina con la muerte. La segunda, la vida eterna después de la muerte. Y la tercera, aquella que el poeta español Manrique llamaría “perdurable” y que recogía la idea de la kleos griega, la gloria de los héroes. La kleos fue un tema recurrente en los grandes poemas épicos -como la Iliade- y en ella confluyen la inmortalidad poética y la gloria épica. El héroe griego la podía conseguir con la consecución de gestas gloriosas o incluso a través de su propria muerte, puesto que la inmortalidad requería de la muerte física. La vida de la fama conducida por el recuerdo es aquello que igualmente perseguirían las laudatio funebris en la antigua Roma. Estos retratos son la culminación plástica de la vida de la memoriae, de la perpetuación de mito cuyo significado básico no tiene perspectiva espacial sino puramente temporal. El tiempo del mito es circular, es consciencia de intemporalidad. Un tiempo, el cual, sea cual fuere la duración que se le atribuya es siempre idéntico, una especie de eternidad.


...y aunque la vida perdió, nos dejó harto consuelo su memoria”.

Jorge Manrique. Copla XXXV.


Beatriz Tejero


Introduzione al “Il Mito dipinto. Volti dell’Iliade”


I ritratti noti come il repertorio del “Fayyum” mostrano un evidente sincretismo religioso tra la tradizione egizia della mummificazione e il mondo classico del ritratto come perenne trasmissione della memoria. Altrettanto classica era stata la tecnica dell'encausto, modificata e lungamente consolidata in Egitto. In questa mostra è evidente anche un sincretismo artistico-culturale, in quanto la modalità pittorica proveniente dal Fayyum e il suo inquietante naturalismo sono utilizzati per ricreare il mito epico e farne risuonare l'eco in modo duraturo. Proprio a questo aspetto ci indirizzano i ritratti della mostra.

Nella letteratura elegiaca del primo Rinascimento era diffusa l'idea dell'esistenza di tre vite. La prima era la vita terrena, che termina con la morte. La seconda era la vita eterna dopo la morte. E la terza, quella che il poeta spagnolo Manrique avrebbe definito "persistente" e che riprendeva l'idea del kléos greco, la gloria degli eroi.

Il kléos era un tema ricorrente nei grandi poemi epici -come l'Iliade- e in esso convergono immortalità poetica e gloria epica. L'eroe greco poteva ottenerlo con il compimento di gesta gloriose o anche attraverso la propria morte, poiché l'immortalità richiedeva la morte fisica. La durata della fama sostenuta dal ricordo era anche lo scopo della laudatio funebris nell'antica Roma. Questi ritratti sono il culmine plastico della vita di “memoriae”, della trasmissione del mito il cui significato fondamentale non ha una prospettiva spaziale ma puramente temporale. Il tempo del mito è circolare; è coscienza dell'atemporalità.


Un tempo che, qualunque sia la durata che gli viene attribuita, è sempre identico; un’ espressione di eternità”.


Beatriz Tejero storica dell’arte